Damasco, i cristiani sotto tiro

(Damasco) Prima un boato, poi un tremito che risale dall’asfalto, fa tremare i vetri delle finestre, riecheggia tra le viuzze anguste di quest’intrico di case chiese e scuole alla periferia orientale di Damasco. La bimba alza la testa, scruta il ritaglio di cielo disegnato tra i tetti dei casermoni di mattoni e cemento. Cerca di vedere, immaginare, schivare le bombe. Ma la prima è già caduta. Ed il suo eco diffonde il consueto fremito di terrore. In un attimo la paura attanaglia il quartiere. Porte e finestre si chiudono, la gente si barrica in casa e lei, la bimba, ormai sola in mezzo alla strada, accelera il passo, corre trafelata, scompare ansimando in questo dedalo di viuzze dove i rigagnoli delle fognature si mescolano all’immondizia.

Siamo a Dwala, quartierone popolare della periferia orientale di Damasco abitato in gran parte da cristiani. Qui le esplosioni delle granate di mortaio e dei missili lanciati da Ghouta, la roccaforte ribelle distante meno di due chilometri in linea d’aria, sono musica e orrore quotidiano.

Oggi non è diverso. Sono le 15 e la terza bomba della giornata è esplosa da pochi minuti. Ora si tratta solo di scoprire dove. Alah Nasser, un sottufficiale della Difesa Nazionale, il corpo paramilitare responsabile della sicurezza nei quartieri civili, s’infila correndo in questo labirinto di viuzze mentre il gracchiare della radio trasmette le coordinate del nuovo incidente, mentre le sirene delle ambulanze convergono nella stessa direzione. Tre minuti e ci siamo. Un ferito si tiene la schiena insanguinata, un crocchio di fedeli corre dentro e fuori il portone della chiesa di Saint Joseph. Tutt’attorno è un letto di vetri e calcinacci.

“Giornalisti venite qui, raccontate la verità una volta tanto” – urla una donna. Dietro a lei un vecchietto e un ragazzone trascinano una croce di metallo ammaccata e impolverata. Il colpo di mortaio esploso sul tetto della chiesa l’ha colpita in pieno, l’ha fatta rotolare sulle tegole, precipitare in strada.

“Sono uscito per un attimo dal negozio per salutare un amico e d’improvviso c’è stata l’esplosione. Ho alzato gli occhi e ho vista la croce precipitare in mezzo ad una pioggia di calcinacci. Mi è caduta ad un metro, non so proprio come sono vivo” – racconta Alain mentre alza la camicia e mostra le strisciate di sangue disegnategli sulla schiena da una scheggia di metallo.

Un’altra di quelle schegge è nelle mani di padre Imad Challash, uno dei preti di questa chiesa sirocattolica costruita tra Dwala e il quartiere di Tabbaleh, a meno di duecento metri dal Memoriale che ricorda la conversione di San Paolo.

“Oggi per fortuna è andata bene… ringraziando Dio abbiamo avuto solo due feriti lievi… – racconta il prete – Ma non va sempre così. Qui a Dwala a Tabbaleh, ma anche a Bab Touma e negli altri quartieri cristiani, cadono sempre più bombe. Ormai arrivano senza interruzione. Ogni giorno ne contiamo almeno sette otto. Voi in Europa vi guardate bene dal raccontarlo, ma a colpirci sono i mortai dei terroristi che stanno a Ghouta. Per voi le uniche vittime di questa guerra sono quelle dei loro villaggi abitati. Ma non è così. Le bombe e i missili lanciati da quelle zone uccidono le donne, gli uomini e i bimbi di Damasco…e i quartieri più esposti sono i nostri, perché Dwala, Tabbaleh, Bab Touma e Kassah, le zone in cui vive la maggioranza delle famiglie cristiane, sono vicinissimi alle zone dei gruppi armati. Solo qui a Dwala abbiamo già avuto decine di vittime”.

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Il conteggio preciso è nel blocco di appunti di Alah. “Guarda qui, da metà febbraio, da quando il nostro esercito ha iniziato l’offensiva per cacciare i terroristi da Ghouta a Dwala e Tabbaleh – spiega il sottufficiale della Difesa Nazionale – abbiamo avuto 17 civili e 20 soldati uccisi. Ormai questi quartieri sono una prima linea”.

E come in ogni prima linea non c’è persona che non conti un amico o un familiare ucciso. “Tre settimane fa una bomba come questa ha portato via il mio povero figlio” – racconta Samaan, un professore in pensione di Dwale.

“Siamo cristiani e siamo pronti a perdonare. La gran parte dei civili di Ghouta probabilmente non ha alcuna colpa. Probabilmente molti di loro sono solo vittime dei gruppi armati che si sono impossessati dei loro villaggi e delle loro case. Ma non possiamo andare avanti così. È ora di farla finita. In Italia cosa direste, cosa fareste se un gruppo armato occupasse la periferia di Roma e sparasse sui vostri cittadini. Li lascereste fare? Accettereste di farvi uccidere? Penso proprio di no. Qui è lo stesso. Noi cristiani non vogliamo più vivere accanto a dei terroristi pronti ad ucciderci. Per noi la pace tornerà solo quando l’esercito avrà liberato Ghouta e cacciato quei ribelli”.

Da: Gli Occhi della Guerra

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