Nato nel 1808 ad Hardin, Libano
morto nel 1858 a Kfifan, Libano
monaco libanese maronita
venerato dalla Chiesa cattolica
ricorrenza liturgica: 14 dicembre
Noto già al suo tempo come “il Santo di Kfifan”, Youssef Kassab Al-Hardini nacque nel 1808 nel nord del Libano, in una regione ricca di eremi e di monasteri, e da una famiglia maronita molto numerosa, nella quale spiccava l’autorità morale del nonno paterno, parroco del villaggio di Tannourin, e di altri quattro congiunti votatisi alla vita monastica e sacerdotale. Cresciuto dai genitori in un’atmosfera di salda fede cristiana e di devozione profonda, fece i primi studi presso il monastero di sant’Antonio di Houb e a venti anni esatti entrò nell’Ordine Libanese Maronita. Ma fu nel monastero di sant’Antonio di Qozhaya che si definì la sua vocazione cristiana con il fermo radicamento nell’esistenza ascetica, l’impegno rigoroso alla preghiera comunitaria e al lavoro manuale, la tensione alla perfezione evangelica e la presenza assidua all’Adorazione Eucaristica. «Lo trovavano in chiesa, inginocchiato, le braccia levate in forma di croce, gli occhi fissi al Tabernacolo, immobile»: il giovane monaco Nimatulla (che in lingua libanese significa “Dono di Dio”) destinava infatti al Santissimo Sacramento anche le ore del riposo, confermandosi in uno spirito straordinario di preghiera, di sacrificio e di penitenza, di rigore dottrinale e di intransigenza spirituale.
Alla professione monastica (1830) seguirono l’ordinazione sacerdotale e un lungo periodo presso il cenobio dei santi Cipriano e Giustina di Kfifan, dove egli si distinse, sebbene con la consueta umiltà, per il modo di vivere, e soprattutto di dividere, la propria giornata di ministro di Dio: la prima metà dedicandola a prepararsi per la Santa Messa, la seconda a ringraziare il Signore dopo la celebrazione.
Durante il periodo delle guerre civili libanesi (1840-45) e in seguito all’affermazione del regime ottomano (1860), che inflisse una durissima persecuzione alla Chiesa maronita e all’Ordine Libanese, Nimatulla si offrì in olocausto per il proprio paese e per la propria congregazione monastica, instillando coraggio e determinazione nei confratelli e nei fedeli mediante il motto “Il più bravo è colui che può salvare la sua anima”, che ripeteva di continuo come una sorta di giaculatoria. La sua profondissima devozione alla Vergine Maria e all’Immacolata Concezione ne fecero un modello per la recita quotidiana del Santo Rosario, per la consuetudine del digiuno e per la pratica dell’omaggio riparatore alla Madonna nella giornata del sabato.
Nel 1845, a 43 anni, venne nominato Assistente generale dell’Ordine Libanese Maronita con un mandato di un triennio, carica che gli fu poi riconfermata per altre due volte nel 1850 e nel 1853 in conseguenza precipua del suo zelo formidabile nell’osservanza severa delle regole monastiche. Rifiutò invece la nomina ad abate presso i monasteri di san Marone di Annaya e di sant’Antonio di Houb, preferendo dedicarsi con grande modestia all’insegnamento della teologia e alla rilegatura dei libri liturgici, attività quest’ultima che aveva prediletto fin dalla giovinezza, dando prova di straordinaria abilità e di affettuosa cura. Fondò scuole gratuite sia a Kfifan che a Bershaf ed ebbe tra i suoi allievi anche il futuro san Charbel (1828-1898).
Indebolito dai continui digiuni e da un inverno particolarmente freddo, Nimatulla contrasse una polmonite, per le cui complicanze si spense a Kfifan il 14 dicembre 1858. Per diversi giorni nella sua cella si manifestarono una luce intensa e un profumo soave. Venne proclamato Venerabile il 7 settembre 1989, Beato il 10 maggio 1998 e Santo il 16 maggio 2004 sempre sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, e dopo che la sua causa di beatificazione era giunta in Vaticano unitamente a quelle dei monaci libanesi Charbel e Rafqa, a propria volta canonizzati.