Il primo dicembre 2018, Anba Markos, vescovo copto di Shubra El-Khema – Egitto -, ha officiato, per la prima volta, una messa copto-ortodossa pubblica all’interno del territorio nazionale saudita. Il rito cristiano è stato celebrato nell’abitazione di un operaio copto che risiede a Riad e ha visto ampia partecipazione da parte dei cristiani presenti in Arabia Saudita.
Un evento unico a Riad, capitale ultraconservatrice dell’Arabia Saudita, frutto delle politiche di apertura promosse dal principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman. Basti considerare che il sistema legale saudita non consente la libertà religiosa all’interno del territorio nazionale e, di conseguenza, vieta la pratica pubblica di qualsiasi religione, eccezion fatta per l’Islam.
La struttura normativa del Regno si basa, infatti, sull’interpretazione wahabita della sharia, una forma estremamente rigida di Islam, che promuove un’interpretazione letteralista del Corano e condanna come nemici dell’Islam tutti coloro che non praticano la religione secondo questa modalità.
Soltanto un anno prima della visita pastorale di Markos, nel novembre 2017, il governo saudita aveva emanato una nuova legge in materia di antiterrorismo, in cui si condanna severamente “chiunque sfidi, direttamente o indirettamente, la religione o la giustizia del Re o del Principe ereditario”. Le nuove norme proibiscono anche “la promozione di ideologie ateiste e qualsiasi tentativo di mettere in dubbio i fondamenti dell’Islam”, inclusi il culto pubblico non islamico, l’esposizione pubblica dei simboli religiosi e il proselitismo da parte di non musulmani.
Attualmente, nel Regno saudita sarebbero presenti circa 1,4 milioni di cristiani – il 4 per cento della popolazione totale -, la maggior parte dei quali stranieri residenti nel Paese per motivi di lavoro. Il numero preciso di fedeli, tuttavia, non è facilmente determinabile, dal momento che sono costretti a tenere segreta la loro fede. I cristiani possono pregare in luoghi privati, la maggior parte delle volte abitazioni, organizzando, quindi, adunanze di poche persone.
Nonostante la situazione difficile che si trovano a vivere i fedeli, il cristianesimo in Arabia Saudita ha origini antiche. Grazie all’opera dei missionari persiani dell’impero sassanide e dei missionari siriaci, si è diffuso in Arabia a partire dal IV secolo e, da qui, nel Golfo, fino allo Yemen, intorno al VI secolo.
Attualmente, in Arabia Saudita non esistono diocesi, ma il Paese fa parte del vicariato apostolico dell’Arabia settentrionale, che ha sede in Bahrain e comprende anche Kuwait e Qatar. La parte sud della penisola arabica, invece, è compresa nel vicariato apostolico dell’Arabia meridionale, che include Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen.
Ad oggi, la situazione sembrerebbe avviarsi verso un lieve cambiamento. Con la designazione di Mohammed Bin Salman quale erede al trono, avvenuta il 21 giugno 2017, l’Arabia Saudita ha intrapreso un percorso di profonda trasformazione sia a livello politico che economico. Punto centrale del rinnovamento promosso dal principe è l’apertura al mondo esterno, al di fuori dei confini sauditi, e l’abbandono dell’immagine ultraconservatrice e intollerante che il Paese porta con sé da almeno 30 anni.
Parte integrante di questa nuova politica saudita sono l’abolizione dell’estremismo religioso e il ritorno a un Islam moderato. Lo stesso Bin Salman ha annunciato che il Regno tornerà ad essere “ciò che era prima, un Paese dell’Islam moderato, aperto a tutte le religioni e al mondo”. Secondo quanto affermato dal principe ereditario, la chiusura religiosa dell’Arabia Saudita sarebbe stata una risposta alla rivoluzione iraniana del 1979. In seguito alla nascita della Repubblica Islamica dell’Iran, non sapendo precisamente come rapportarsi con un governo religioso sciita, alcune nazioni, in primo luogo l’Arabia Saudita, avrebbero adottato lo stesso modello, ma sunnita.
È in questo clima di moderazione che si colloca la visita pastorale di Anba Markos a Riad, su invito di Bin Salman. L’apertura verso le religioni diverse dall’Islam non riguarda soltanto i copti. Nel novembre 2018, il principe saudita ha incontrato anche alcuni rappresentati della Chiesa evangelica americana.
Segnali di apertura sono stati ravvisati anche nei confronti del Vaticano, nonostante Arabia Saudita e Santa Sede non intrattengano relazioni diplomatiche ufficiali. Nel novembre 2017, una delegazione saudita è stata ricevuta da Papa Francesco presso il Vaticano. In questa occasione le due parti hanno sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e della pacifica convivenza tra le religioni, criticando qualsiasi nesso tra la fede e gli estremismi. Qualche mese più tardi, nell’aprile 2018, il sovrano dell’Arabia Saudita, re Salman, ha incontrato a Riad il defunto cardinale Jean-Louis Tauran, l’allora presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso.
Segnali positivi, che fanno sperare in un miglioramento delle condizioni di vita dei cristiani in Arabia Saudita e di una maggiore tolleranza nei confronti delle minoranze religiose presenti nel Regno.